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Il nuovo scenario competitivo

1.1. Verso l’uscita dalla crisi

L’occupazione in crescita, l’incremento del livello degli ordini sostenuto soprattutto dalla domanda estera, la crescita della fiducia dei consumatori e delle immatricolazioni di auto, i primi dati positivi sul mercato immobiliare e un aumento del PIL. Sono numerosi i segnali che indicano un’uscita dalla crisi e che danno fiducia al sistema paese, e questa ripresa sembra essere guidata sia da fattori esogeni (tra tutti il ribasso del prezzo del petrolio e la politica monetaria della BCE – il Quantitative Easing) che da fattori endogeni a livello paese.

“Ora qualche segnale di questa fiducia inizia a manifestarsi, nel sistema delle imprese, complici diversi fattori. Se questi fattori e i primi, per quanto timidi, segnali di un miglioramento della congiuntura ci aiutano a guardare con maggior positività al futuro, non dobbiamo certo illuderci che la strada della crescita sia già definitivamente imboccata” (Confindustria Lecco e Sondrio)

Quello che è certo è che si intravede la luce in fondo al tunnel e che lo scenario economico locale e globale si presenta di gran lunga migliore rispetto a qualche tempo fa. Certo la ripresa è lenta e incerta, un cammino in salita.

La crisi ha lasciato una traccia profonda nel Paese, facendo emergere con forza le debolezze strutturali e di sistema che anni di espansione economica avevano portato in secondo piano. La burocrazia asfissiante, le carenze infrastrutturali e la mancanza di una politica economica – solo per citarne alcuni – sono fattori critici che si sono manifestati con virulenza.

L’effetto è stato che in alcune aree del Paese sono addirittura scomparse intere filiere. Ma se il livello macroeconomico ha mostrato grandissimi ritardi e mancanze, il livello microeconomico, cioè quello delle imprese, è stato in grado di reagire, a volte in ordine sparso, a volte con iniziative sinergiche. Questa che gli studiosi chiamano resilienza, cioè capacità di resistere ad un contesto difficilissimo, si è manifestata in modo evidente nel tessuto imprenditoriale italiano.

In questo scenario la Lombardia ha saputo esprimere la parte migliore del Paese, mantenendo comunque una competitività importante. Certo anche in Lombardia molteimprese sono cessate, ma quelle rimaste – e sono tante – sono quelle che hanno saputo meglio attrezzarsi per la competizione globale.

Da un lato, quello che le imprese chiedono al sistema Confindustriale è di saper aiutarle a individuare quelle linee strategiche, quei driver di competitività che possano consentire alle imprese di irrobustirsi, cogliendo appieno la ripresa, rilasciando il potenziale ancora inespresso e supportandole in questo Quello che è certo è che si intravede la luce in fondo al tunnel e che lo scenario economico locale e globale si presenta di gran lunga migliore rispetto a qualche tempo fa. Certo la ripresa è lenta e incerta, un cammino in salita. La crisi ha lasciato una traccia profonda nel Paese, facendo emergere con forza le debolezze strutturali e di sistema che anni di espansione economica avevano portato in secondo piano. La burocrazia asfissiante, le carenze infrastrutturali e la mancanza di una politica economica – solo per citarne alcuni – sono fattori critici che si sono manifestati con virulenza. “Ora qualche segnale di questa fiducia inizia a manifestarsi, nel sistema delle imprese, complici diversi fattori. Se questi fattori e i primi, per quanto timidi, segnali di un miglioramento della congiuntura ci aiutano a guardare con maggior positività al futuro, non dobbiamo certo illuderci che la strada della crescita sia già definitivamente imboccata” (Confindustria Lecco e Sondrio) rafforzamento. Dall’altro, le imprese chiedono di spingere sulle Istituzioni pubbliche affinché facciano quanto nelle loro sfere di competenza affinché si inneschi quel circolo virtuoso che dalle imprese coinvolge tutta la società. Il passato ci insegna che se questo processo avrà successo in Lombardia, tutto il Paese ne beneficerà e sarà in grado di riconquistare le posizioni di primato che gli spettano.

È in questo contesto, ancora difficile e incerto, che si innesta il Piano Strategico di Confindustria Lombardia.

1.2. Il contesto competitivo globale

Negli ultimi anni uno degli elementi più sfidanti per le imprese è stata sicuramente l’evoluzione, rapida e marcata, che si è sviluppata nel contesto competitivo. Questo è diventato liquido, togliendo progressivamente stabilità, i concorrenti si sono moltiplicati, le barriere difensive si sono ridotte.

Da un lato, infatti, l’Unione Europea ha progressivamente aperto i mercati, gli scambi e gli investimenti internazionali, reso più concorrenziali tanti settori, demolendo con sistematicità posizioni ingessate e generando così nuove pressioni concorrenziali e, contemporaneamente, la moneta unica ha fatto emergere tutti gli elementi di valore nell’offerta delle imprese (innovazione di prodotto, affidabilità, livello di servizio, ecc,) eliminando l’alibi delle svalutazioni. Dall’altro, diverse aree del mondo, Asia-Pacifico in testa, si sono affacciate con determinazione sulla scena economica globale togliendo progressivamente spazio e risorse alle aree (USA e UE) tradizionalmente più forti, anche grazie ad accordi di libero scambio sempre più largamente diffusi. Si pensi solo all’impatto che avrà il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership) in negoziazione tra Unione Europea e Stati Uniti e che potrebbe, successivamente, essere esteso ai paesi membri della North American Free Trade Agreement (NAFTA) e dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA). Se aggiungiamo l’impatto delle nuove tecnologie, di cui al par. 3.3, è evidente come fare impresa sia diventato molto più complicato in tanti settori.

Minacce ma anche tante opportunità.

Se è vero che un contesto sempre più ampio lascia spazio all’ingresso di nuovi e aggressivi concorrenti, allo stesso modo, per le nostre imprese, si aprono altrettanti nuovi mercati e opportunità. Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (UNCTAD, 2014), il commercio mondiale è triplicato in valore dal 2000 al 2013, e la recente crisi non è stata che un rallentamento di un fenomeno ben più ampio. Certo, come si diceva in precedenza, i tassi di partecipazione alla generazione di output e nel commercio mondiale sono molto più alti per i nuovi attori (Sud-est Asia, Sud America e Africa) e sono invariabilmente crescenti. Ma dal lato della generazione di output, questa crescita è concentrata in alcune attività e fasi della filiera (materie prime, lavorazioni a basso valore aggiunto) dove è più facile entrare se non si è in possesso di una solida e di lunga tradizione attività industriale e di ricerca e sviluppo. Dall’altro la crescita dei redditi che questi aumenti producono, creano nuovi stili di vita e mercati sempre più esigenti.

Nuove sfide dunque per le nostre imprese: fasi della filiera da abbandonare perché su queste non si è più competitivi, fasi da valorizzare e sviluppare perché su queste si riesce a generare valore aggiunto, nuovi fornitori e competenze disponibili a livello globale, nuovi mercati da conquistare e nuovi prodotti da sviluppare per clienti che hanno gusti e tradizioni a volte molto diversi. Questo richiede nuove competenze, attitudini e una evoluzione che per tantissime imprese è ormai la quotidianità ma per altre, abituate a un contesto del tutto diverso, una discontinuità troppo difficile da operare. È a tutte le imprese che ci rivolgiamo, con l’intento di accompagnare il loro percorso verso le nuove sfide.

1.3. Le dinamiche tecnologiche

Il contesto competitivo non ha visto solo l’affacciarsi di nuovi attori sulla scena, ma anche di nuovi strumenti e tecnologie. E l’impatto è stato altrettanto rilevante.

“La nostra manifattura deve evolvere verso un nuovo modello produttivo per il XXI secolo per stare al passo della competizione globale. A livello internazionale si stanno consolidando cinque grandi «mega trend» che definiranno la trasformazione del settore manifatturiero:
  1. La «Fabbrica 4.0» o Smart Factory,
  2. Nanotecnologia e Nanomanifattura,
  3. L’integrazione di servizi/manifattura,
  4. La manifattura additiva,
  5. I cluster tecno-manifatturieri”
(Assolombarda Confindustria Milano Monza e Brianza)

Infatti se la competizione è diventata globale le nuove tecnologie della comunicazione e la logistica hanno contribuito a rendere il fenomeno ancora più evidente. Grazie alle tecnologie la disponibilità di informazioni e di prodotti e servizi acquistabili con assoluta semplicità su scala globale, ha reso il mondo davvero molto più piccolo, tanto da non riuscire a distinguere quale sia stato il fenomeno precursore e quale il successore.

La logistica assume dunque un ruolo cruciale nella capacità di un Paese di essere competitivo ma, al tempo stesso, appiattendo il differenziale di costo tra un prodotto facilmente reperibile localmente e uno da reperire a grande distanza, mette in evidenza un altro elemento chiave della competitività: il costo del lavoro. Se trasportare un bene da un continente all’altro è diventato veloce e sostenibile, la discriminante nella scelta del luogo di produzione di tale bene risulta necessariamente legata al costo della produzione e dunque al costo del lavoro, che in Italia sappiamo essere uno dei più conclamati punti di debolezza del nostro mercato.

Altre nuove tecnologie stanno entrando in scena e alcune di queste sembrano avere le potenzialità per essere altrettanto impattanti. Tra queste possiamo annoverare:

  • le stampanti 3D e più in generale il mondo dei maker e del DIY (do it yourself), fenomeno noto e diffuso da tempo ma alimentato dalle nuove tecnologie che, come è stato per la diffusione delle tecnologie ICT, hanno reso più semplici fenomeni e bisogni antichi. E’ questo di sicuro un ambito di grande interesse perché molto vicino al manifatturiero e ai suoi prodotti e le cui potenzialità sono tali da far parlare di nuova rivoluzione industriale; In futuro (ma in parte sta già accadendo) ogni maker potrà progettare il proprio prodotto – qualunque esso sia– in formato digitale, inviare il progetto ad un laboratorio che ha gli strumenti per realizzarlo (il makerspace), oppure produrlo personalmente a partire dai singoli elementi. Si tratta di prodotti ideate anche grazie agli stimoli e spunti costantemente condivisi in una community on-line e vendute via web (l’economia dei bit e quella degli atomi sono, in questo approccio, difficilmente separabili);
  • le tecnologie dell’automazione e un diverso utilizzo del web stanno rendendo e renderanno gli ambienti produttivi sempre più “intelligenti” cioè in grado di adattarsi, senza intervento umano, alle più diverse condizioni e portando la produzione verso processi sempre più efficienti e performanti, sicuri e a basso impatto ambientale. Una sorta di “fabbrica del futuro” nella quale le tecnologie ICT (comprese realtà virtuale e realtà aumentata) sono sempre più integrate nelle macchine utensili, nelle apparecchiature e negli ambiti produttivi;
  • le app e l’evoluzione del mobile. Tutte le evoluzioni delle tecnologie per la comunicazione stanno producendo nuove categorie di servizi o di modalità di fruizione di servizi e prodotti esistenti e portando cambiamenti che stanno, indirettamente, investendo tutto il mondo industriale. Quindi anche se, apparentemente, virtuale e distante dall’industria e più vicino al mondo dei servizi, anche questo è un filone tecnologico da considerare ormai parte integrante dei processi produttivi. Proviamo solo a pensare al rapporto diretto con il consumatore finale o alle nuove modalità di distribuzione.

1.4. Sviluppo sociale e sviluppo competitivo

Il supporto allo sviluppo della competitività delle imprese non è disgiungibile dallo sviluppo e dalla competitività dei territori e della società in cui le imprese operano e quindi dallo sviluppo sostenibile. Infatti, da un lato tale sostenibilità si fonda su principi di eticità ed equità e quindi sull’avere tra i propri obiettivi un’allocazione equilibrata ed efficiente delle risorse tra le sue diverse dimensioni: economica, sociale, ambientale, territoriale e generazionale. Dall’altro il perseguimento di questo obiettivo, che Porter e Kramer (2011) hanno denominato Creating Shared Value, ha l’obiettivo del riconoscimento del mutuo rinforzo tra l’impresa e il territorio/la comunità a cui questa appartiene.

Ma la comprensione del potenziale del valore condiviso è solo agli inizi, non è una questione di filantropia o di singole iniziative isolate ma la tendenza a valutare strutturalmente le decisioni e le opportunità attraverso la lente del valore condiviso. Secondo Porter e Kramer ci sono tre modi principali con i quali le imprese possono creare opportunità di valore condiviso: (I) ridefinendo prodotti e mercati, (II) ridefinendo la produttività nella catena del valore e (III) abilitando lo sviluppo di cluster locali. Così facendo si diffonderà un modello, condiviso, di cultura d’impresa che è già parte del DNA di tante imprese lombarde ma che deve essere reso sistema e riconosciuto dall’esterno. E le imprese saranno le prima a trarne grandi vantaggi. E da questi vantaggi se ne avvantaggeranno i territori, attraverso il benessere e la ricchezza diffusa dalle imprese nel loro ruolo sociale più stretto.

D’altronde è noto che nell’attuale scenario di globalizzazione il territorio sta assumendo un ruolo sempre più importante. Per impostare una strategia di sviluppo competitivo sostenibile, un sistema territoriale deve essere in grado di offrire e salvaguardare, in modo strutturale, alcuni peculiari vantaggi competitivi: dal mantenimento dell’integrità dell’ambiente naturale alla salvaguardia delle identità territoriali, dalla presenza di un adeguato sistema di gestione della conoscenza ad un sistema di imprese responsabili secondo il modello del creating shared value che in modo sinergico portano alla prosperità e ad un’alta qualità della vita.

Il modello competitivo di riferimento è quello delineato da Michael Porter1 , un approccio che ha come obiettivo il raggiungimento di un elevato standard di prosperità: è questa che conduce al set di uno standard di vita crescente e sostenibile.

“Difendere il manifatturiero significa difendere il benessere economico delle nazioni. L’equazione è semplice. Maggiore impresa manifatturiera equivale a maggiore innovazione tecnologica, intesa come introduzione di nuovi prodotti o utilizzo di nuove tecnologie che, nel lungo periodo, rappresentano il vero motore della crescita della produttività” (Unindustria Como)

Ma la prosperità può essere raggiunta solo attraverso la competitività.

E la competitività di un territorio dipende dalla capacità delle sue imprese di innovare e migliorarsi continuamente.

Le imprese di un territorio così riescono ad ottenere un vantaggio competitivo contro i migliori concorrenti del mondo. Per ottenere questo risultato, nel proprio territorio di origine devono sia trovare pressioni e sfide perché solo così si rinforzano e sono pronte per la competizione (forte concorrenza nazionale, fornitori competenti e una clientela locale esigente), sia avere un contesto favorevole allo sviluppo: la pervasiva e perdurante cultura anti-industriale rappresenta tutt’oggi in Italia un freno alla piena espressione della competitività delle imprese.

In una sola parola, si deve raggiungere un elevato e crescente livello di produttività (del lavoro, del capitale e delle risorse naturali), che deve interessare in egual misura il privato, la pubblica amministrazione e i corpi intermedi del nostro Paese.

Puntando sulla produttività la “torta si allarga”, le imprese giocano un ruolo centrale nello sviluppo territoriale, sia quelle locali che quelle internazionali e il ruolo dei Governi è quello di creare le condizioni abilitanti per la crescita della produttività.

Come centrare dunque la sfida della competitività e della produttività? Non è semplice: le determinanti della competitività sono a tre livelli. Bisogna quindi agire su più livelli, basandosi sul primo livello, quello delle dotazioni, cioè sulle caratteristiche e risorse del territorio e su queste innestare il secondo livello: le politiche fiscali, sociali (istruzione, sanità, giustizia, ecc.) e macroeconomiche affinché queste creino le condizioni di partenza più appropriate per liberare il potenziale della competitività.

Ma poi la produttività cresce nelle imprese, laddove si sviluppa continuamente l’innovazione in senso lato (non dove c’è un basso costo del lavoro o delle materie prime!) e si impara quindi ogni giorno a “fare sempre di più e meglio, con sempre meno”.

Nelle economie avanzate – e quindi in territori come la Lombardia – questo significa spingere sulle leve propedeutiche all’innovazione: creazione e valorizzazione del capitale umano, attrazione di aziende e individui innovativi, internazionalizzazione e sviluppo dei cluster.

Lavorando su questi ambiti, sulla qualità del business environment e della sofisticatezza delle attività d’impresa, i risultati sono evidenti.

Se da una parte risulta dunque imprescindibile agire supportando le migliori condizioni per i fattori di input (risorse, capitale e lavoro ma anche istruzione qualificata e infrastrutture), non va tuttavia dimenticata l’importanza di un rafforzamento delle condizioni della domanda: un’ampia e sofisticata clientela stimola infatti l’innovazione dei prodotti, così come la presenza di industrie fornitrici (a monte) permette il miglior coordinamento della produzione e facilita il flusso informativo e l’innovazione. In definitiva, quanto più sarà presente una positiva rivalità tra le imprese, tanto più maggiori saranno i benefici e l’innovazione per il territorio in cui operano.

Come vedremo nei capitoli successivi la Lombardia ha già molti punti di forza in questi ambiti di azione, che non a caso la posizionano ai primi posti in Europa, ma non basta. La vision che Confindustria Lombardia ha per il 2030 ci porta a voler migliorare e crescere in ciascun ambito, in modo dinamico, anche perché gli altri territori evolvono e crescono.

La prosperità non si eredita, se non in minima parte, si costruisce.

1.6. La centralità del medium tech

Un altro punto di grande forza per il sistema lombardo è il ruolo centrale occupato dal medium tech. Con questo termine si indica quella parte del manifatturiero (per esempio: meccanica, chimica, plastica, elettrotecnica, nautica, le filiere dell’automotive, del “medicale” e della diagnostica) che presenta sì elementi di tecnologia sofisticata ma che, soprattutto, combina la forza delle radici industriali e artigiane del “saper fare, e fare bene” ben salde nelle nostra cultura d’impresa, con una spiccata tendenza all’innovazione incrementale e combinatoria.

“Il medium tech è innovazione incrementale e combinatoria. Formazione e mondo del lavoro. A differenza dell’high tech, favorisce “coesione sociale” e promuove un atteggiamento cooperativo tra aziende e saldo radicamento territoriale” (Assolombarda Confindustria Milano Monza e Brianza)

Se il modello “high tech” è basato sul “merito straordinario”, sul talento di un ristretto gruppo di giovani startupper, il modello “medium tech” è basato invece sul contributo corale di persone dal “merito ordinario” spesso senior di grande esperienza pratica, resilienza e saggezza che sanno resistere in settori maturi attraverso il proprio ingegno.

Il medium tech presenta quindi caratteristiche ben precise:

  • l’innovazione di cui sopra è fondata sulla “capacità di combinare al meglio i fattori della produzione” e ad una progressione di miglioramenti, “in un lungo cammino fatto di tentativi e di errori”, una capacità che supporta lo sviluppo e la competitività di quei settori considerati ormai maturi e per questo meno rilevanti. Questa capacità innovativa non ha bisogno di talenti straordinari e per lo più giovani, ma deve invece valersi di “talenti ordinari” e si alimenta “della conoscenza cumulativa acquisita nel tempo, ovvero dell’esperienza”;
  • predisposizione e capacità di essere presente sui mercati internazionali, e quindi a potenziare attraverso la leva dell’export la crescita del PIL. Le attività internazionali non sono di vendita o di sfruttamento dei vantaggi di costo offerti da taluni paesi, ma anche e soprattutto di prossimità e presenza sui mercati più rilevanti, tenendo però ben saldi in Italia la testa e il cuore delle strategie, della ricerca, delle produzioni “alto di gamma” e a maggior valore aggiunto.

Tali specificità sono cruciali nei settori del medium tech, dove non predomina quindi l’innovazione radicale, ma dove la competizione si gioca sulla capacità di sviluppare o adottare l’innovazione in modo incrementale con un marcato orientamento market pull/adattivo (attenzione e adattamento al mercato/cliente di riferimento). Questa innovazione continua viene tipicamente generata in tutti gli strati e le funzioni dell’organizzazione: manager, tecnici, operai ed è proprio questo miglioramento progressivo dei processi e dei prodotti, che producono valore, che genera capability difficilmente imitabili e radicate nel territorio.

Altro fattore di successo del medium tech italiano è da ricondurre proprio al legame tra i territori e le imprese. Gli ambiti geografici ristretti dove sono presenti più settori diversi ma connessi fra loro (come nel modello dei cluster), rappresentano un potenziale vantaggio competitivo: proprio perché la competitività di un territorio dipende dalla sua capacità di utilizzare e combinare meglio il capitale umano, le risorse finanziarie e quelle naturali a disposizione. L’importanza del legame impresa – territorio si declina in diversi modi. Le imprese medium tech hanno, infatti, una funzione di miglior equilibrio sociale, hanno bisogno di un buon capitale umano, di lunga durata, sollecitano competenze continuamente aggiornate, promuovono il merito, si radicano positivamente nel territorio e, sollecitando una supply chain di qualità, migliorano il capitale sociale diffuso: “Una costellazione di valori che contribuiscono, nel lungo periodo, a rendere più solida, più stabile e anche più ricca una società”. Ci sono sei leve, su cui insistere (Rocca, 2014): “Innovazione e produttività, capitale umano e merito ordinario, coesione sociale e mobilità intergenerazionale”. Sono caratteristiche del medium tech, in cui la buona cultura d’impresa si combina con la sostenibilità sociale.

E’ quindi questa combinazione unica, caratterizzata da innovazione incrementale e combinatoria, che contraddistingue il medium tech lombardo.

1.7. Un nuovo rapporto con la finanza

Le imprese non possono svilupparsi senza risorse finanziarie adeguate. Per cogliere la ripresa che si profila a livello globale, è pertanto necessario riaprire fonti inaridite e sviluppare nuovi canali. Cosi come chiaramente indicato nel position paper di Confindustria, “Un’agenda per il credito per la crescita del paese”, dal quale vengono coerentemente riprese le proposte e traiettorie di intervento, occorre (I) agire per alleviare le tensioni finanziarie delle imprese riattivando il circuito del credito. E’ inoltre essenziale (II) promuovere il ricorso delle imprese a strumenti di debito alternativi a quello bancario e (III) favorirne il rafforzamento patrimoniale.

Le dinamiche sopra delineate, in uno scenario in rapido mutamento, devono essere accompagnate dalla modernizzazione delle relazioni tra banche e imprese da attuare a livello regionale, nazionale ed internazionale, sono essenziali per rivitalizzare in tempi brevi il mercato creditizio e far ripartire l’economia.

Alla costruzione di un nuovo modello di relazione banca-impresa si dovrà concorrere da entrambe le parti. Le imprese dovranno crescere, aumentare il grado di trasparenza e rafforzare la loro struttura finanziaria attraverso una maggiore patrimonializzazione e un più ampio ricorso a fonti di debito alternative a quello bancario. Tutto ciò trasformerà anche il rapporto banca-impresa, contribuendo, attraverso rating più alti, a far rifluire il credito. Le banche dovranno essere pienamente consapevoli delle ricadute negative che deriverebbero per l’intera economia italiana dal perdurare di una forte stretta creditizia.

Negli ultimi anni il credito è divenuto sempre più selettivo. All’inizio della crisi ciò è dipeso da difficoltà nella raccolta bancaria mentre più di recente il fenomeno è legato al deterioramento della qualità dei portafogli crediti. Nel prossimo futuro sarà necessario un forte impegno delle banche per approfondire la conoscenza delle imprese e tenere conto delle reali prospettive di sviluppo delle singole aziende, a prescindere dal settore di appartenenza e dagli indicatori medi e dal livello di innovazione che lo caratterizzano.

Le banche dovranno valorizzare l’utilizzo delle informazioni di natura qualitativa e aumentarne il peso nella valutazione del merito di credito della singola impresa. Banche e imprese potranno definire insieme, attraverso accordi da siglare tra le associazioni di rappresentanza anche a livello territoriale e settoriale, le caratteristiche di modelli di valutazione fondati proprio su specifiche variabili qualitative (ad esempio: la qualità del management, le caratteristiche del progetto industriale, la presenza di certificazioni e brevetti) volti a cogliere le reali potenzialità future delle singole imprese.

L’obiettivo è giungere a un rapporto banca-impresa più trasparente, efficiente ed equilibrato nel quale non venga a mancare il credito proprio a quelle imprese sane che sono in grado di affrontare i mercati e crescere, trainando anche la ripresa del Paese.

Innanzitutto è essenziale rivitalizzare il mercato creditizio - che resta centrale per le imprese, soprattutto quelle piccole e medie - e far sì che alle nostre aziende affluisca la liquidità necessaria a finanziare capitale circolante e investimenti. Al riguardo, un contributo importante dovrà provenire dagli strumenti di garanzia, che potranno essere ulteriormente rafforzati e rifinanziati con risorse provenienti dai fondi strutturali e da sistema camerale. Considerata l’importanza cruciale che l’internazionalizzare riveste per lo sviluppo delle PMI, è poi essenziale sviluppare moderni ed efficienti strumenti finanziario-assicurativi per le imprese che esportano e realizzano investimenti all’estero. A livello internazionale, occorre assicurare la piena omogeneizzazione della regolamentazione bancaria. Inoltre, per rispondere alle difficoltà del mercato bancario, determinanti saranno le misure di recente adottate dalla BCE.

Infine, serve nuova finanza per le imprese. Ciò è essenziale oggi che i prestiti sono in calo, ma sarà cruciale anche dopo l’uscita dalla crisi, quando il credito bancario avrà strutturalmente un ruolo minore nel finanziamento dell’economia. Le imprese dovranno reperire le risorse necessarie per lo sviluppo attraverso canali alternativi a quello bancario. Maggiori risorse dovranno venire dal capitale proprio delle imprese. È dunque indispensabile sostenere la patrimonializzazione delle imprese, spingendole ad aprirsi ad investitori esterni, sia attraverso la leva fiscale sia rilanciando il mercato del private equity e del venture capital.

Rafforzare gli strumenti di garanzia.

L’Italia conta su un sistema di garanzia completo e articolato, basato su due componenti: una pubblica, rappresentata in particolare dal Fondo di Garanzia per le PMI e una privata, costituita dal sistema dei confidi. Durante la crisi, il sistema si è rivelato strategico per l’accesso al credito delle PMI.

Il Fondo e i confidi sono stati in prima linea a fianco delle imprese registrando forti tassi di incremento dell’attività e delle insolvenze. Vi è oggi l’esigenza di avviare una riflessione ampia a livello nazionale per ripensare e rafforzare il sistema di garanzia. Ciò significa anche ridisegnare il sistema dei confidi e riformare il Fondo di Garanzia per le PMI.

Favorire la diffusione di strumenti di credito alternativi.

Il credito bancario non è più sufficiente a soddisfare i fabbisogni finanziari delle imprese connessi alla ripresa degli investimenti produttivi. Ma senza tali investimenti l’economia italiana non potrà tornare a crescere su basi solide. È dunque essenziale sviluppare canali finanziari alternativi a quello bancario.

Promuovere il rafforzamento patrimoniale delle imprese.

Deve ripartire il percorso di rafforzamento patrimoniale che si stava realizzando nel decennio pre-crisi e che è stato interrotto negli ultimi anni. Va detto che la bassa patrimonializzazione media delle imprese italiane è conseguenza anche dei deficit di competitività del Paese: in particolare un global tax rate e un costo dell’energia ben più elevati di quelli di altri Paesi europei, quali la Germania. Senza tale deficit le imprese avrebbero potuto disporre di maggiori risorse per rafforzarsi patrimonialmente. È indispensabile sostenere la patrimonializzazione delle imprese. Anche sul fronte dell’equity, il ruolo degli investitori istituzionali sarà importante.

Va rilevato che sui mercati dei capitali si sta osservando un dinamismo che lascia ben sperare. In particolare, segnali importanti provengono dal nuovo listino AIM-MAC e dall’interesse che ruota intorno al progetto Elite di Borsa Italiana, strategico per avvicinare le PMI ai mercati dei capitali.

Finanziamenti privati a sostegno dell’economia reale.

È importante agevolare le compagnie di assicurazione e i fondi pensione nella realizzazione di investimenti di lungo periodo che possano contribuire al sostegno dell’economia reale, con ricadute positive sul sistema produttivo italiano e sulla patrimonializzazione delle imprese, con particolare riguardo alle PMI.

Tale esigenza è stata sottolineata anche dalla Commissione europea nella recente Comunicazione sui finanziamenti a medio e lungo termine (che segue il Libro verde dello scorso anno) che mira a mobilitare fonti private di finanziamento a lungo termine all’economia reale.

La competitività di un territorio dipende dalla capacità delle sue imprese di innovare e migliorarsi continuamente. Per ottenere questo risultato, nel proprio territorio di origine devono sia trovare pressioni e sfide perché solo così si rinforzano e sono pronte per la competizione , sia avere un contesto favorevole allo sviluppo: la pervasiva e perdurante cultura anti-industriale rappresenta tutt’oggi in Italia un freno alla piena espressione della competitività delle imprese. In una sola parola, si deve raggiungere un elevato e crescente livello di produttività (del lavoro, del capitale e delle risorse naturali), che deve interessare in egual misura il privato, la pubblica amministrazione e i corpi intermedi del nostro Paese.